Sessismo benevolo, microaggressioni e carico mentale

Clara Francesca Canova
6 min readFeb 15, 2021

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Fenomenologia del patriarcato in guanti di velluto.

Ho da poco lasciato un posto di lavoro in cui per tre anni i miei compiti principali sono stati partecipare a conference call dove avrei dovuto salutare, scambiare due parole e assistere in silenzio, rispondere con cortesia, prendere tempo e riportare le richieste ricevute al mio capo, un paio di volte l’anno fare copia-incolla di dati da un sistema di database ad un altro.

Il lavoro mi era stato presentato come “project management” in processi di costruzione di infrastrutture informatiche avanzate. Di fatto, ero un gentile soprammobile che riceveva enormi complimenti quando rispondeva al telefono o dimostrava di saper fare “CTRL+C/CTRL+V” al computer. ENORMI complimenti.

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Per la mia gentilezza, la mia flessibilità, la mia intelligenza, la mia pazienza, le mie soft skill… che io fossi tecnicamente sovra-qualificata per la posizione o che fossi in grado di gestire la gran parte del lavoro in maniera autonoma non contava.

Non c’è mai stato un vero passaggio di consegne, una definizione dei miei compiti, un lavoro vero; c’erano altri che erano competenti di queste faccende, io ero lì per essere gentile e flessibile e salutare.

Per 2 anni e mezzo mi sono sentita inutile, trasparente e, ovviamente, incapace. Davo per scontato che se erano tutti così gentili e grati della mia presenza, il problema dovevo essere per forza io e non qualche fattore discriminatorio strutturale. Sono arrivata a dubitare seriamente delle mie competenze e della mia professionalità, a pensare che il lavoro era buono, ottimo, ed ero io a non essere abbastanza “proattiva” e ad ambire a posizioni o responsabilità che non mi si confacevano.

La mia mancanza di autostima e il mio senso di inutilità erano così grandi che quasi ho smesso di cercare lavoro: non avevo più il coraggio di mandare curricula, perché non mi ritenevo abbastanza capace, formata, o intelligente per ambire ad altro se non a questa mansione di receptionist infiocchettato di termini inglesi e scadenze. Parlo 3 lingue, ho 3 lauree -di cui una presa all’estero e un master in management e ingegneria gestionale preso all’università più prestigiosa d’Italia-, a 27 anni amministravo un’azienda con un fatturato da 25 milioni di euro, ho studiato management e impresa in Cina e ci ho pure vissuto… però non ero mai abbastanza e, con loro, me ne stavo convincendo anche io.

Quasi non l’ho mandato quell’ultimo curriculum che mi ha fatto trovare un lavoro nuovo e, finalmente, cambiare la traiettoria della mia carriera.

Emma Clit, l’artista diventata famosa per il fumetto/pamphlet sulla “charge mentale”, il carico mentale demandato quotidianamente alle donne, è uscita nel 2020 con un nuovo lavoro dove ci spiega che cos’è il “sessismo benevolo”.

Leggere il suo nuovo lavoro è stato un fulmine a ciel sereno: improvvisamente molte dinamiche che avevo subìto passivamente hanno acquistato un significato sistemico, sono diventate esperienza collettiva del genere femminile e non solo mie. Quando l’ho condiviso con altre donne, molte mi hanno confidato la stessa cosa: ecco una chiave di lettura per spiegare fenomeni che viviamo quotidianamente, finalmente ci siamo rese conto che, ancora una volta, il problema non siamo noi. Non è colpa nostra, o del nostro bel faccino, o della nostra intrinseca incapacità di essere brave come i nostri colleghi maschi!

Per sessismo benevolo si intende la tendenza da parte degli uomini di “trattare le donne come creature fragili da difendere ad ogni costo”. Nel sessismo benevolo si tende ad esaltare e lodare la donna per la sua intrinseca predisposizione e superiorità nell’esprimere tratti caratteriali e doti più femminili e delicate, rifacendosi a quell’immaginario di genere che rinchiude le femmine nei ruoli della donna-angelo, la donna-madre e la donna-massaia o curatrice. Il termine, come spiega Emma, è stato coniato nel 1996 dagli psicologi Susan Fiske e Peter Glick.

Photo by Nicola Styles on Unsplash

Che male ci potrà mai essere, se non quello che di perpetrare degli stereotipi un po’ vecchiotti? D’altronde, chi si pone così non intende fare nulla di male, anzi, questi sono uomini che ci apprezzano. Se non fosse che con i complimenti e le moine ci seppelliscono.

Quando un uomo riconosce prima di tutto in una donna le sue qualità più femminili e le esalta, tende parallelamente a considerarla incompetente o inadeguata in altre aree che considera più da maschi. In questa dimensione si manifestano fenomeni come il mansplaining o la bieca tendenza a preferire un uomo per posizioni di lavoro più tecniche o promozioni che vengono considerate troppo “pesanti” per una collega donna, ruoli dove magari ci vorrebbe “polso” oppure una mente “tecnica”.

Emma spiega che una delle più comuni manifestazioni del sessismo benevolo è la galanteria: nel trattare una donna come una creatura delicata, da trattare con riguardo, la si infantilizza e la si rende oggetto passivo, privandola del proprio potere di agire.

Un altro effetto secondario è la glorificazione ed esaltazione delle donne nei loro ruoli tradizionali, aspetto che ancora oggi gioca un ruolo fondamentale nella cultura italiana. D’altronde, la mamma è sempre la mamma, come ci ricordano Casa Surace e le millemila iterazioni delle varie campagne pubblicitarie di ogni singolo prodotto di igiene e pulizie della casa. Le donne sono creature stupende, fantastiche, inarrivabili, coi superpoteri! Ma solo quando stanno al loro posto.

Si potrebbe pensare che questo strutturale occhio di riguardo nei nostri confronti possa essere una cosa positiva, dopotutto. Un po’ passé, ma sempre meglio le lusinghe e le porte tenute aperte piuttosto che le molestie sessuali, le dimissioni in bianco o le botte. Eppure, non è così, questo nostro “fiorellinizzarci” ci porta ad essere agli occhi del benevolo sessista delle creature deboli, che in situazioni di competizione o di pericolo possono essere facilmente scavalcate, ignorate, o calpestate.

D’altra parte, tutto questo ci rende vulnerabili e profondamente insicure delle nostre capacità o potenzialità, proprio come stava succedendo a me. Le moine da bimbo duenne che fa la cacca nel vasino perché abbiamo letto una mail ci destabilizzano e umiliano. Essere trattate come persone non del tutto autonome provoca in noi per prime un senso di incompetenza, la convinzione che da sole, senza il supporto di un uomo, non potremo mai farcela. Ci convinciamo che senza un pigmalione non saremo mai in grado di avere successo o superare le avversità o anche solo essere notate per le nostre capacità.

E, ovviamente, se tutto quello che di meritorio vedono in noi è la nostra delicata femminilità, vorrà dire che solo quello abbiamo da offrire.

Insomma, come dicevo prima, il patriarcato e il sessismo non sono solo violenza manifesta, ma anche oppressione strutturale e mimetizzata.

Photo by Andy Fitzsimon on Unsplash

È una storia analoga al carico mentale reso celebre da Emma nel 2017. Abbiamo dei mariti, compagni o fidanzati che “aiutano”, non possiamo essere contente per una volta? Esser loro grate? Che importa, in fondo, se per fargli fare la lavatrice dobbiamo fargliela trovare già divisa per colori, col programma preimpostato e le dosi di detersivo pronte, se dobbiamo lasciar loro tre post-it, mandargli un alert su Google Calendar e per buona misura anche un paio di messaggi su Whatsapp per assicurarci che lo abbiano fatto. Siamo arrivate a casa dal lavoro e la lavatrice era già partita, non abbiamo dovuto farlo noi, sarà pronta da stendere prima di cena, così dopo abbiamo il tempo di scaricare la lavastoviglie, ordinare la spesa su amazon e preparare il carico di biancheria da far partire domani. I maschi aiutano, fanno la loro parte. Dobbiamo solo indirizzarli un poco, sappiamo com’è, sono maschi, da soli si perdono in un bicchier d’acqua.

Sono le innumerevoli e complesse manifestazione del patriarcato in quanto struttura: la sua versione politically correct, dove le nostre vite sono una corsa a ostacoli contro il mansplaining quotidiano, le microaggressioni sessiste che ci bombardano da ogni lato, i doppi standard e il divario salariale. Per lo meno non sono botte, per lo meno non ci stuprano, per lo meno non c’è il delitto d’onore e ci fanno leggere e scrivere. Non va così male, guarda come veniamo trattate bene.

Da vere principesse. È un patriarcato dolce, coi guanti di velluto.

Ottobre 2020

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Clara Francesca Canova
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Written by Clara Francesca Canova

Political scientist turned business innovation geek. Here I write of tech, business, feminism, and life as I know it. IT & ENG

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